Un nuovo studio condotto da un laboratorio di analisi con sede in Italia sostiene che un test di routine per la presenza di PFAS nei tessuti, progettato per soddisfare nuove severe normative come la California AB 1817, è gravemente difettoso.

Il problema è che il “test non mirato”, che mira a misurare il contenuto totale di fluoro organico di un articolo, dà “falsi positivi” se alcune classi di coloranti reattivi vengono utilizzate per tingere i tessuti di cotone.

Lo studio è stato condotto da TIL in collaborazione con la storica tintoria tessile Fratelli Ciampolini SpA di Prato per esaminare un’importante categoria di coloranti reattivi per fibre cellulosiche che contengono atomi di fluoro nella loro struttura molecolare.

Esistono due tipi di test di laboratorio utilizzati per rilevare la presenza di PFAS nei tessuti e negli indumenti.

– Analisi “target”: questi metodi si concentrano sulla determinazione di specifiche molecole di PFAS (i “target”), per le quali sono ampiamente disponibili standard analitici. Purtroppo, però, ad oggi, delle circa 10.000 molecole di PFAS conosciute, sono disponibili solo poche decine di standard e procedure che possono essere utilizzate per queste analisi “target”.

– Analisi di screening “non mirata”, utilizzata per calcolare il fluoro totale (TF) e il fluoro organico totale (TOF) di un articolo. I PFAS sono molecole organiche contenenti fluoro, quindi i tecnici ne calcolano la presenza e sottraggono il valore di concentrazione TOF dal valore TF per ottenere un valore che equivale alla quantità di PFAS presenti in un campione.

Il test presuppone che tutti i TOF identificati siano riconducibili ai PFAS, il che, secondo i ricercatori, non è vero. I ricercatori del TIL hanno invece dimostrato come alcune classi di coloranti tessili reattivi che contengono una molecola organica di fluoro – e non sono PFAS – siano anch’essi sensibili al test e diano quindi dei “falsi positivi” quando si utilizza questo tipo di metodo analitico.

Un articolo tessile che non contiene PFAS verrebbe quindi erroneamente segnalato dalle autorità come qualcosa da vietare, o almeno soggetto alle stesse restrizioni chimiche dei PFAS.

Tuttavia, i coloranti reattivi contenenti fluoro in questione non sono gli stessi composti organofluorurati persistenti che i regolatori intendono giustamente limitare, affermano i ricercatori.

“La presenza dell’atomo di fluoro (organico) nella molecola di questi coloranti non li classifica in alcun modo come sostanze PFAS”, si legge nel rapporto. Il rapporto sottolinea inoltre che: “Le sostanze per e polifluoroalchiliche (PFAS) sono definite come qualsiasi sostanza che contenga almeno un atomo di carbonio metilico (CF3-) o metilenico (-CF2-) completamente fluorurato (senza H/Cl/Br/I ad esso collegato)”.

Si tratta di un aspetto importante perché a livello globale si stanno attuando nuove normative sui PFAS. Lo Stato della California, ad esempio, ha fissato le restrizioni sui PFAS imponendo un limite di 100 mg/kg di fluoro organo totale (TOF) a partire dal gennaio 2025 e lo inasprirà a 50 mg/kg dal gennaio 2027.

“Anche l’Europa sembra andare nella stessa direzione, infatti, oltre alle restrizioni specifiche esistenti per alcune molecole di PFAS (criterio ‘target’), si sta lavorando a una proposta di restrizione generale dei PFAS, basata sul criterio ‘untarget’, a seguito della quale si sta studiando una proposta per un limite di 50 mg/kg per il TOF”, hanno detto i ricercatori italiani.

Phil Patterson, collaboratore di Ecotextile News, ha osservato: “Sarei d’accordo con la definizione di PFAS data dai ricercatori italiani, ma le autorità californiane non lo sono: dicono che qualsiasi molecola con un atomo di carbonio completamente fluorurato, come questi coloranti, è un PFAS.

“È chiaro che questi coloranti non sono organici persistenti. Fissandoli su un substrato cellulosico o mostrando loro un po’ d’acqua e/o alcali, si decompongono prontamente rilasciando HF inorganico”.

“In conseguenza di quanto sopra, è di particolare importanza verificare l’impatto sulle analisi ‘non mirate’ di quelle classi di sostanze che non sono PFAS, ma che contengono fluoro organico nella loro struttura, e che sono comunemente utilizzate nei processi di produzione di articoli della filiera della moda”, hanno concluso gli scienziati.