Il distretto pratese, il progetto IED, Green Peace e Consorzio Detox, gli obiettivi da raggiungere
07/01/2020 di Laura Antonini – Corriere Fiorentino
La sostenibilità è uno degli obiettivi a cui punta la moda del nuovo millennio. Dieci anni fa Greenpeace aveva lanciato la campagna Detox al fine di favorire entro il 2020 l’eliminazione delle sostanze inquinanti, scaricate nelle acque durante la produzione, pericolose per l’uomo e per l’ambiente. Un imput a cui le imprese italiane e molte del distretto pratese, poli mondiale del tessile, hanno risposto con risultati. Come ci racconta Andrea Cavicchi, imprenditore e presidente del Consorzio di Implementazione Detox e presidente della sezione sistema moda di Confindustria Toscana Nord.
Il 9 gennaio affronterà la l’argomento nella conferenza stampa di presentazione del progetto The Time is Now! promosso da IED, Consorzio Detox e Greenpeace, alla Fortezza da Basso. «In questo decennio – anticipa – le le aziende italiane hanno misurato il livello di contaminazione delle proprie filiere, attivato processi di miglioramento e di eco-design. Grazie al lavoro fatto possiamo affrontare con consapevolezza le sfide che restano aperte».
Cosa rappresenta il distretto di Prato nel sistema della moda mondiale e quanto virtuoso è?
«La produzione mondiale di articoli tessili assorbe 98 milioni di tonnellate di materie prime e di materiali accessori; di questa quantità, soltanto l’1% viene riciclata. Il distretto tessile di Prato che conta circa 7 mila imprese del settore tessile abbigliamento, 35mila addetti e un fatturato di circa 6 miliardi di euro è il principale polo di prodotti realizzati con materie prime tessili rigenerate. Ben 143mila tonnellate, pari al 15% della quantità globale di materiali tessili rigenerati. Il rigenerato è un fiore all’occhiello che attrae. Tanto che ogni anno sono centinaia gli studenti delle scuole di moda in tour a Prato per assistere all’intero processo grazie all’esistenza di una filiera completa».
Ci faccia qualche esempio.
«Sono tanti i casi virtuosi: la Manteco, il Lanificio Bellucci, Texmoda, Emmetex, Industria Italiana filati e Lanificio dell’Olivo. Tutte realtà che hanno scelto di certificare attraverso la certificazione internazionale GRS (Global Recycle Standard) i propri prodotti. Attraverso questo lavoro è possibile tracciare la produzione e garantire ai clienti un prodotto riciclato, sicuro e verificato. Mi piace dire che oltre alle singole eccellenze il valore di questa trasformazione ha portato effetti anche là dove non si pensava. Ricerca e innovazioni importanti hanno rinnovato il mercato. La Tintorie Jersey Mode, Ciampolini e Alessandrini per esempio, grazie allo studio delle contaminazioni dei coloranti, hanno applicato i principi del percorso Detox alle proprio lavorazioni».
Prossimi obiettivi?
«Tra gli altri, il percorso punterà a combattere il “Greenwashing” termine che indica la pratica dei brand di mostrarsi sensibili al tema ambientale salvo poi assumere nei fatti un comportamento diverso. Non basta avere un’etichetta di carta riciclata per essere azienda eco, né dire che il cotone è biologico o organico. Ogni dimensione deve essere tracciata: tutto si deve legare in modo coerente seguendo un processo di filiera pulita dalla A alla Z».
Che ruolo hanno le nuove generazioni e cosa viene fatto sul nostro territorio?
«Una moda è sostenibile se cresce insieme alle persone che la consumano e la producono. La scommessa più grande si gioca sulla formazione che deve rivedere l’idea di progettazione della moda. Lo stilista per anni formato in modo distaccato dalla conoscenza della materia, deve tornare a essere padrone di questo aspetto. Lo scorso anno il progetto The Time is Now! ha visto gli studenti Ied realizzare collezioni eco-friendly con tessuti forniti dalle aziende impegnate in Detox; la nuova fase del progetto punterà a alla creazione di accessori puntando sul concetto di design sostenibile».
Ovvero di eco design?
«I nuovi stilisti saranno padroni della tecnica produttiva. La rivoluzione verde parte da una solida base di cultura del lavoro e della tecnica insomma, aspetti che in Toscana come italia hanno convissuto nelle botteghe artigiane e che oggi nella logica sostenibile devono essere condivise dalle economie dei grandi marchi».
Ci spieghi meglio…
«Una volta che le aziende si saranno dotate di designer che progettano le collezioni green sarà limitato anche il problema devastante per l’ambiente dell’invenduto. I capi rimasti nei magazzini avranno nel loro dna scritto il codice di un nuovo prodotto. Questo non vuol dire che il sistema moda sostenibile è quello che non produce. Piuttosto sarà quello che, darwinianamente, produrrà in modo diverso: collezioni e accessori capaci di adattarsi. Un sistema mutante che non spingerà più su una produzione massiva ma su una produzione razionale, trasformabile e sempre recuperabile. Con i dovuti distinguo, sarà un po’ come tornare al vecchio concetto della nonna, un capo è per sempre».